Interessante e significativa sentenza del TAR Liguria, Sezione Prima, del 4.4.2022 (n. 253) che con una motivazione semplice, lineare e riassuntiva di orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati, ha incrementato l’ormai corposo cesto delle fantasiose, creative e divertenti ricostruzioni che i rappresentanti dei concessionari balneari ci hanno abituati periodicamente a leggere nei loro siti di riferimento. Questa volta oggetto di pronuncia sono le “devoluzioni” (e/o incameramenti che dir si voglia) al demanio pubblico delle opere di difficile rimozione previste dall’ art. 49 del Codice della Navigazione.
Ricordate la “filastrocca” dei concessionari balneari sul tema? L’articolo 49 sarebbe un residuato bellico, palesemente incostituzionale ed in contrasto con l’ordinamento eurounitario (preciso riferimento alla sentenza “Laezza” della Corte di Giustizia UE in tema di giochi e scommesse) in quanto rappresenterebbe una sorta di esproprio senza indennizzo nei confronti dei concessionari. In un solo colpo la “corte ligure” ha spazzato via tutti dubbi in ordine alla vigenza, legittimità costituzionale e importanza di tale fondamentale articolo.
La vicenda sottoposta alla sua cognizione riguardava un ricorso presentato da una società concessionaria demaniale marittima del comune ligure di Arenzano avverso gli atti con i quali la “commissione di acquisizione” ha ritenuto meritevoli di acquisizione al demanio marittimo dello Stato un compendio di beni su cui insiste uno stabilimento balneare. Essa ha impugnato gli atti con cui l’Amministrazione ha ritenuto meritevoli di acquisizione al demanio marittimo dello Stato, ai sensi dell’art. 49 Cod. Nav., le seguenti opere: blocco uffici e servizi, sala ristorante e cucina, magazzino interrato. Per chi non conosca tale particolare procedura, ricordiamo che il procedimento di incameramento dei beni di “non facile rimozione” è una sequela di atti comandati dalla Capitaneria di Porto competente per zona che si avvale di una “commissione” apposita con l’intervento dell’Agenzia del Demanio. Riguardando una questione “dominicale” cioè relativa al diritto di proprietà dei beni e non alla gestione amministrativa degli stessi, è di marginale rilievo il ruolo delle amministrazioni comunali. Infatti il comune di Arenzano non si è costituito in giudizio.
Vediamo di esaminare i punti “in diritto” più significativi della questione. Secondo una giurisprudenza ormai consolidatasi e ripresa dalla sentenza, alla scadenza della concessione demaniale marittima le opere non agevolmente rimuovibili realizzate dal concessionario sono acquisite di diritto al demanio statale e, producendosi per legge l’effetto costitutivo, l’atto amministrativo di acquisizione o d’incameramento hanno efficacia meramente dichiarativa di una vicenda traslativa oramai conclusa (in questi termini, tra le tante, si v. CDS, VI, s. 6850/2018).
Infatti ai sensi dell’art. 49 Cod. Nav., “salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”.
Si tratta di un’ipotesi speciale di accessione – modo di acquisto della proprietà disciplinato dall’art. 934 Cod. Civ., in forza del quale al proprietario del suolo appartiene di diritto qualunque opera realizzata sopra o sotto di esso – che, secondo la giurisprudenza, va riferita all’effettiva e definitiva cessazione, e non alla mera scadenza, del rapporto concessorio, perché è solo in questo caso che vi è l’esigenza di assicurare che le opere “non amovibili” realizzate dal concessionario tornino nella piena disponibilità dell’Ente proprietario del suolo, che ne deciderà la sorte, mentre la situazione è differente laddove il titolo concessorio preveda forme di rinnovo automatico o preordinato in antecedenza, rispetto alla data di naturale scadenza della concessione, tanto da configurare il rinnovo stesso, al di là del “nomen iuris”, come una vera e propria proroga, protraendosi il medesimo rapporto senza soluzione di continuità sostanziale (tra le più recenti, si v. CDS, IV, s. 1146/2020).
Di questa interpretazione se ne sono sempre avvalsi i concessionari demaniali ritenendo che le “proroghe” legislative, appunto, comportassero una “continuazione senza soluzione di continuità” del rapporto in atto con l’effetto impeditivo dell’incameramento ex art. 49 Cod.Nav.. È chiaro che dal 1° gennaio 2024 l’orizzonte cambierà notevolmente vista la sorte che come sappiamo subiranno le attuali concessioni. Nel caso di specie il TAR Liguria ha ritenuto che benché la società abbia mantenuto ininterrottamente dal 1994 la disponibilità del bene, sono risultati differenti agli atti di concessione del 1994 e quello del 1998 e di conseguenza l’effetto traslativo per legge risulta essersi prodotto già alla scadenza della prima concessione, di cui la seconda rappresenta un vero e proprio rinnovo, e non una proroga, non essendo stato né automatico né preordinato in antecedenza.
Allo stesso tempo i giudici liguri hanno ritenuto provata anche la seconda condizione prevista affinché si possa realizzare l’incameramento e cioè la “non amovibilità” delle opere.
A tal proposito dagli atti processuali (in particolare, dal verbale della commissione del 21.03.2012, dal testimoniale di stato e dalla relazione allegata, redatta dal progettista delle opere su richiesta della società) emergeva che le opere oggetto di acquisizione consistono in blocchi prefabbricati, colonne infisse a mezzo bulloni fissati ad una piastra in ferro, affogato nel calcestruzzo di un cordolo e piattaforma in cemento armato mediante ancoraggi in ferro» cui si aggiungono pannelli laterali e un manto impermeabile in tegole canadesi, ecc..
Quindi nulla che abbia a che fare con “la facile amovibilità” impeditiva dell’ incameramento anche se, come sappiamo, la giurisprudenza amministrativa ormai consolidata ha definito come opere amovibili le c.d. strutture precarie o temporanee, affermando che ”si può definire temporanea e precaria solo quella struttura che, per sua oggettiva funzione, reca in sé visibili i caratteri della durata limitata in un ragionevole lasso di tempo, a nulla rilevando la destinazione intenzionale del proprietario; quindi, perché una struttura sia qualificata come precaria, è necessario che sia destinata ad un uso specifico e temporalmente limitato del bene e anche la stagionalità non esclude, anzi postula, il soddisfacimento di interessi non occasionali e stabili nel tempo (Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 2464 del 25/05/2017)” .In senso ulteriormente specifico “le strutture precarie possono essere realizzate sul demanio marittimo solo se vi siano “appoggiate”, nel senso che non deve esservi alcuna oggettiva modifica dello stato dei luoghi, poiché questi devono risultare esattamente gli stessi una volta che siano state rimosse le medesime strutture: l’aspetto naturalistico dell’area demaniale deve essere totalmente identico a quello che preesisteva alla realizzazione della struttura precaria” (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza n. 3800 del 28/07/2017). Nonostante siano chiari e conformati da tempo tali principi, risulta avvilente che siano, non tanto i concessionari balneari quali parti in causa che rifiutano di riconoscerli, ma addirittura soggetti istituzionali reggenti di amministrazioni comunali rivierasche che genuflessi alle non-ragioni dei balneari non solo non ne riconoscono l’ autorevolezza e l’ imperatività ma si arrogano addirittura il diritto di contestarli…Beata ignoranza…Ma l’ aspetto che ritengo fondamentale di questo arresto dei giudici liguri è quello relativo alla circostanza che il ricorrente aveva chiesto il rinvio alla Corte di giustizia affinché si pronunciasse sulla questione d’interpretazione degli artt. 49 e 56 TFUE al fine di appurare se ostino a una disciplina, quale quella dell’art. 49 Cod. Nav., che prevede la devoluzione delle opere non amovibili. A supporto di tale richiesta, la parte ricorrente richiamava la “famosa” sentenza della Corte di Giustizia del 28.01.2016, causa C-375/14, conosciuta da tutti come sentenza “Laezza”. Quale miglior occasione per soddisfare i “desiderata” dei balneari e di quei politici “sanculotti” fedeli ai loro servigi? La risposta fornita dal Tar Liguria al capo n. 34 della sentenza, però è una di quelle che non lascia adito ad interpretazioni creative o e/o balneari che dir si voglia: <<Tuttavia, il dubbio di compatibilità con il diritto dell’Unione non appare fondato, dato che l’art. 49 Cod. Nav. costituisce specificazione di una norma generale di diritto comune, ossia l’art. 934 cod. civ.: è dunque nella proprietà pubblica del bene cui “accedono” le opere “non amovibili” realizzate dal privato che se ne giustifica l’acquisto gratuito e di diritto (la situazione è dunque diversa da quella della sentenza citata, che riguardava l’attività di giochi e scommesse svolta dal privato nei propri locali) >>. In un colpo solo sono stati colpiti ed affondati i “capisaldi di non–diritto” a cui pretendevano di attaccarsi, divulgando benemerite falsità, i concessionari balneari ritenendo, a loro dire, “sacra” ed applicabile in materia di concessioni demaniali la sentenza Laezza e non conforme al T.F.U.E. l’incameramento ai beni dello Stato previsto dall’ art. 49 del Cod.N..
Avv. Roberto Biagini
Presidente Coordinamento Nazionale Mare Libero