L’ applicazione in Italia della Direttiva europea CE 123/2006 (cd. Bolkestein) vede la pervicace resistenza della categoria-lobby dei concessionari demaniali marittimi e la sostanziale acquiescenza della classe politica agli interessi di questi. Il Coordinamento Nazionale Mare Libero sostiene che in ballo non vi sono soltanto le regole, comunque inderogabili, del mercato e della concorrenza , ma la peculiarità del bene in questione coinvolge aspetti ben più importanti, legati alla pubblica fruizione collettiva delle spiagge e, in ultima istanza, ai diritti costituzionali del cittadino: la tutela della salute, dell’ambiente e del paesaggio.
Nella dottrina giuridica classica, la destinazione pubblica del demanio “naturale” marittimo si intendeva realizzata compiutamente con la garanzia del godimento collettivo del bene, lasciando ai margini l’idea di un utilizzo economicamente fruttifero. La riforma del bilancio dello Stato (legge 3 aprile 1997, n. 94 e d.lgs. 7 agosto 1997, n. 279), con l’inclusione del demanio naturale nella categoria del «beni suscettibili di utilizzazione economica» ha definitivamente sancito il tramonto di questo paradigma. Nell’odierno contesto socio-culturale, infatti, l’istituto della concessione demaniale marittima diventa lo strumento principale con il quale le amministrazioni pensano di realizzare la destinazione pubblica del bene, valorizzandolo, direttamente, col percepimento dei canoni concessori, e indirettamente con le ricadute occupazionali delle attività balneari e dell’attrattiva turistica del territorio.
Anche nel passaggio alle Regioni della responsabilità sul Demanio, si ritrovano le stesse argomentazioni, laddove proprio il demanio marittimo rientra nei “beni funzionali allo sviluppo economico regionale” (art. 59 del DPR 616/77 delega alle Regioni «le funzioni amministrative sul litorale marittimo, Dlgs 112/98 conferisce alle Regioni le funzioni relative «al rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia» (così alla lettera l del comma 2° dell’art. 105 “Funzioni conferite alle regioni e agli enti locali”), e 96/199 (l’art. 42 ha trasferito ai Comuni l’esercizio delle funzioni previste dalla lettera l) del comma 2° dell’art. 105).
A questa logica si è conformata anche l’Agenzia del Demanio che, con il Decreto Legislativo 173/03 è diventata Ente Pubblico Economico, con modalità organizzative e strumenti operativi di tipo privatistico adottando “criteri di economicità” e di “creazione di valore economico”. L’Agenzia del Demanio, nel caso specifico, persegue il soddisfacimento dell’interesse pubblico con la valorizzazione degli immobili realizzati sugli arenili (talvolta “mostri” in cemento costruiti abusivamente e poi “sanati”), i quali, in quanto iscritti a patrimonio e fonte di canoni, non possono essere rimossi, con buona pace dell’ambiente, del paesaggio e spesso anche della accessibilità e visibilità delle spiagge e del mare.
Questa visione del bene demaniale come strumento di creazione di valore economico ha spianato la strada alla progressiva trasformazione dei litorali in superfici da sfruttare economicamente, a tutto vantaggio dei concessionari privati, i quali, anche per gli importi irrisori dei canoni demaniali, in gran parte traggono dalle loro attività profitti sproporzionati.
Le numerose proroghe dei titoli concessori, inoltre, hanno lasciato per decenni la gestione degli arenili sempre agli stessi soggetti privati, con il risultato di una silenziosa ma costante “privatizzazione” di fatto delle spiagge in concessione, i cui confini vengono spesso delimitati con muri, siepi, inferriate e cancelli. Un esempio per tutti è il “lungomuro” di Ostia, dove il pubblico accesso al mare è impedito da una barriera architettonica e visiva senza soluzione di continuità per chilometri.
Da questo punto di vista, una attuazione corretta della direttiva Bolkestein in Italia, oltre ad introdurre la concorrenza come antidoto ai monopoli ed alle privatizzazioni di fatto delle spiagge, dovrebbe mirare a ricondurre la gestione del demanio marittimo alla sua “funzione sociale in termini di solidarietà, fruibilità, accessibilità, ovvero restituendo al bene la natura di bene di appartenenza collettiva”.
In conclusione, l’auspicio è che nel riordino complessivo del sistema delle concessioni si pongano adeguati “limiti al regime concessorio (ad esempio nella durata e nell’eventuale reiterazione), evitando in ogni caso di svilire il bene con canoni irrisori”, e si provveda “così come presente in diverse legislazioni dell’Unione europea, a garantire che un’alta percentuale dei beni appartenenti al demanio marittimo, rimanga estranea alla regola della concorrenza, alle logiche del mercato e quindi non sia data in concessione” ma venga amministrata direttamente dai Comuni, anche tramite enti e cooperative noprofit.