Le sentenze 17/2021 e 18/2021 (pubblicate entrambe il 9.11.2021) del Consiglio di Stato in Adunanza plenaria, statuiscono in modo definitivo e inequivocabile che:
– le proroghe sono illegittime, inclusa la moratoria emergenziale per l’epidemia Covid-19;
– che la disapplicazione delle stesse è obbligatoria a tutti i livelli della Pubblica Amministrazione e, ultimo ma non meno importante, che anche gli atti ricognitivi di proroga già rilasciati dai Comuni sono da ritenersi tamquam non esset, cioè ugualmente privi di efficacia.
La sentenza, inoltre, pone come data ultima, non ulteriormente prorogabile, per la scadenza delle concessioni il 31.12.2023, termine ritenuto congruo per modulare l’impatto socio-economico del provvedimento e dar modo al legislatore di approvare la disciplina per le gare.
Infine, l’Adunanza plenaria ha inserito alcuni “suggerimenti” per i criteri di messa a bando delle concessioni, condivisibili in linea di massima dal Coordinamento, quali la loro durata limitata nel tempo e l’aumento dei canoni concessori in linea con il valore reale del bene demaniale.
Il CoNaMaL condivide molto meno, invece, il riferimento, “ripescato” direttamente dalle argomentazioni dei concessionari scaduti, di attribuire un peso in fase di gara alle esperienze professionali acquisite a al know-how, ciò che favorirebbe automaticamente chi ha avuto in esclusiva per decenni la gestione dei lidi e degli stabilimenti. Non convince anche l’assenza di un qualsiasi riferimento, nelle sentenze, alla necessità prioritaria che le spiagge debbano essere tutelate sotto il profilo ambientale e del paesaggio, mentre si continua a privilegiarne la funzione strumentale, sostenendo che la durata delle concessioni vada commisurata agli investimenti, spesso, come sappiamo, consistenti in strutture di cemento, piscine o altre edificazioni rigide, che al contrario contribuiscono ad incrementare gli effetti dell’erosione costiera.
Quindi il Coordinamento Nazionale Mare Libero, nell’accogliere con molta soddisfazione il giudizio del CdS, si batterà comunque per una attuazione corretta e lungimirante della direttiva Bolkestein in Italia, che oltre ad introdurre la concorrenza come antidoto ai monopoli ed alle privatizzazioni di fatto delle spiagge, miri soprattutto a ricondurre la gestione del demanio marittimo alla sua funzione sociale di bene di appartenenza collettiva.
In conclusione, l’auspicio è che nel riordino complessivo del sistema delle concessioni si pongano adeguati “limiti al regime concessorio (ad esempio nella durata e nell’eventuale reiterazione), evitando in ogni caso di svilire il bene con canoni irrisori”, e si provveda “così come presente in diverse legislazioni dell’Unione europea, a garantire che un’alta percentuale dei beni appartenenti al demanio marittimo, rimanga estranea alla regola della concorrenza, alle logiche del mercato e quindi non sia data in concessione” ma venga amministrata direttamente dai Comuni, come spiaggia di libera fruizione, anche tramite enti e cooperative noprofit.
Di seguito un’analisi più dettagliata delle sentenze.
Il Consiglio di Stato ha concluso che:
- Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 – sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione.
- Ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari. […] La non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato.
Il Consiglio di Stato, ha inoltre stabilito che:
- Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedura di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.
Le sentenze hanno “smontato” tutte le argomentazioni che in questi anni hanno accompagnato le richieste dei concessionari, interessati a mantenere saldamente il regime oligopolistico delle concessioni, ormai equiparabili a proprietà private. Tra queste, in particolare, 1) il fatto che le attività turistico-ricreative svolte sulle spiagge non potessero essere ricomprese nella direttiva Bolkestein e 2) che le spiagge stesse non potessero essere considerate una risorsa “scarsa”.
In merito al punto 1) per il Consiglio di Stato “È evidente che il provvedimento che riserva in via esclusiva un’area demaniale (marittima, lacuale o fluviale) ad un operatore economico, consentendo a quest’ultimo di utilizzarlo come asset aziendale e di svolgere, grazie ad esso, un’attività d’impresa erogando servizi turistico-ricreativi va considerato, nell’ottica della direttiva 2006/123, un’autorizzazione di servizi contingentata e, come tale, da sottoporre alla procedura di gara”.
Sul punto 2) : “i dati forniti dal sistema informativo del demanio marittimo (SID) del Ministero delle Infrastrutture rivelano che in Italia quasi il 50% delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari, con picchi che in alcune Regioni (come Liguria, Emilia-Romagna e Campania) arrivano quasi al 70%. Una percentuale di occupazione, quindi, molto elevata, specie se si considera che i tratti di litorale soggetti ad erosione sono in costante aumento e che una parte significativa della costa ‘libera’ risulta non fruibile per finalità turistico-ricreative, perché inquinata o comunque ‘abbandonata’ “.
Nelle stesse sentenza viene inoltre destituita di fondamento, anzi definita una contraddizione in termini, la tesi, singolare e autoreferenziale, del TAR Lecce, che aveva messo in discussione sia la caratteristica self-executing delle direttive UE sia l’obbligatorietà per i funzionari amministrativi dei Comuni di disapplicazione delle norme nazionali contrastanti con quelle direttive. Secondo il Consiglio di Stato in adunanza plenaria, infatti “la tesi della non disapplicabilità da parte della P.A. della legge in contrasto con una direttiva self-executing cade in una contraddizione logica, che finisce per sterilizzarne ogni utilità pratica. Basti pensare che, anche ad ammettere che la legge in contrasto con la direttiva self-esecuting non sia disapplicabile dalla P.A. ma solo dal giudice, rimarrebbe fermo che l’atto amministrativo emanato in base ad una legge poi riconosciuta anticomunitaria in sede giurisdizionale sarebbe comunque illegittimo e, come tale, andrebbe annullato. E allora, nel momento in cui la P.A. ha comunque deciso di “non applicare” quella legge (nel caso di specie, negando la proroga) e il privato ha sottoposto al vaglio giurisdizionale l’atto amministrativo frutto di quella non applicazione, il giudice, che certamente ha il potere di non applicazione, non potrebbe che prendere atto della legittimità dell’atto e respingere il ricorso. Altrimenti si dovrebbe ritenere che nemmeno il giudice può disapplicare la legge che la P.A. ha applicato, con chiara violazione di consolidati principi sui rapporti tra ordinamenti nazionale e comunitario.
In altri termini, delle due l’una: o si ammette che la legge non è disapplicabile nemmeno dal giudice (ma in questo modo il contrasto con il principio di primazia del diritto dell’Unione diventa stridente) oppure si ammette che l’Amministrazione è “costretta” ad adottare un atto illegittimo, destinato poi ad essere annullato dal giudice, che può fare ciò che la P.A. non ha potuto fare, cioè non applicare la legge nazionale anticomunitaria. Ma immaginare un’Amministrazione “costretta” ad adottare atti comunitariamente illegittimi ea farlo in nome di una esigenza di certezza del diritto (legata all’asserita difficoltà di individuare le direttive self-executing) appare una contraddizione in termini. Non ha pregio, infine, la tesi volta a sostenere che la disposizione in questione non potrebbe considerarsi self-executing, perché non sufficientemente dettagliata o specifica. […] l’art. 12 della direttiva2006/123 e i principi che essa richiama, tenendo anche conto di come essi sono stati più volti declinati dalla giurisprudenza europea e nazionale, già forniscono tutti gli elementi necessari per consentire alle Amministrazioni di bandire gare per il rilascio delle concessioni demaniali in questione, non applicando il regime di proroga ex lege.”
L’Adunanza plenaria, infine ha ritenuto che, a fronte di un quadro di incertezza normativa, sussistessero i presupposti per modulare gli effetti temporali delle sentenze :” la graduazione degli effetti è resa necessaria dalla constatazione che la regola in base alla quale le concessioni balneari debbono essere affidate in seguito a procedura pubblica e imparziale richiede di prevedere un intervallo di tempo necessario per svolgere la competizione, nell’ambito del quale i rapporti concessori continueranno a essere regolati dalla concessione già rilasciata.
Detto periodo deve essere congruo rispetto all’esigenza funzionale di espletare le gare e di evitare il significativo impatto economico e sociale che altrimenti deriverebbe dall’improvvisa decadenza dei rapporti concessori in essere. Al tempo stesso, il lasso temporale non può essere elusivo dell’obbligo di adeguamento della realtà nazionale all’ordinamento comunitario. Si ritiene che tale intervallo temporale per l’operatività degli effetti della presente decisione possa essere congruamente individuato al 31dicembre 2023. Si precisa sin da ora che eventuali proroghe legislative del termine così individuato (al pari di ogni altra disciplina comunque diretta ad eludere gli obblighi comunitari) dovranno naturalmente considerarsi in contrasto con il diritto dell’Unione e, pertanto, immediatamente non applicabili ad opera non solo del giudice, ma di qualsiasi organo amministrativo, doverosamente legittimato a considerare, da quel momento, tamquam non esset le concessioni in essere.”
Il Consiglio di Stato ha infino espresso sue valutazioni sui criteri da fissare per la normativa delle evidenze pubbliche: “Nell’ambito della valutazione della capacità tecnica e professionale potranno, tuttavia, essere individuati criteri che, nel rispetto della par condicio, consentano anche di valorizzare l’esperienza professionale e il know-how acquisito da chi ha già svolto attività di gestione di beni analoghi (e, quindi, anche del concessionario uscente, ma a parità di condizioni con gli altri), anche tenendo conto della capacità di interazione del progetto con il complessivo sistema turistico-ricettivo del territorio locale; anche tale valorizzazione, peraltro, non potrà tradursi in una sorta di sostanziale preclusione all’accesso al settore di nuovi operatori. […] La durata delle concessioni dovrebbe essere limitata e giustificata sulla base di valutazioni tecniche, economiche e finanziarie, al fine di evitare la preclusione dell’accesso al mercato. Al riguardo, sarebbe opportuna l’introduzione a livello normativo di un limite alla durata delle concessioni, che dovrà essere poi in concreto determinata (nell’ambito del tetto normativo) dall’amministrazione aggiudicatrice nel bando di gara in funzione dei servizi richiesti al concessionario. La durata andrebbe commisurata al valore della concessione e alla sua complessità organizzativa e non dovrebbe eccedere il periodo di tempo ragionevolmente necessario al recupero degli investimenti, insieme ad una remunerazione del capitale investito o, per converso, laddove ciò determini una durata eccessiva, si potrà prevedere una scadenza anticipata ponendo a base d’asta il valore, al momento della gara, degli investimenti già effettuati dal concessionario.
È inoltre auspicabile che le amministrazioni concedenti sfruttino appieno il reale valore del bene demaniale oggetto di concessione. In tal senso, sarebbe opportuno che anche la misura dei canoni concessori formi oggetto della procedura competitiva per la selezione dei concessionari, in modo tale che, all’esito, essa rifletta il reale valore economico e turistico del bene oggetto di affidamento”.