Intervento del Presidente di MARE LIBERO APS, Avv. Roberto Biagini, in audizione informale in sede referente, presso le Commissioni riunite II e VI della Camera dei Deputati, del disegno di legge C. 2038 del Governo, di conversione in legge del decreto-legge n. 131 del 2024, recante “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano”
Registrazione video delle audizioni (dal minuto 30′ quella di Roberto Biagini)
BUON POMERIGGIO E GRAZIE PER L’ INVITO.
Una prima considerazione riguarda la forma di redazione del testo normativo che si presenta a dir poco di difficile lettura e comprensione e sicuramente sarà foriero di contrasti applicativi molto più di quanto non lo siano state le pregresse disposizioni emanate dai vari governi che si sono succeduti dopo la sentenza “Promoimpresa-Melis” della Corte di Giustizia U.E. del 14 luglio 2016.
IL DECRETO LEGGE PREVEDE DISPOSIZIONI ANTI CONCORRENZIALI PALESI CHE NON MANCHERANNO DI ESSERE CENSURATE SIA DAGLI ORGANI POLITICI UNIONALI CHE DA QUELLI GIURISDIZIONALI.
Breve accenno.
Proroghe
Il decreto sovrascrive la proroga automatica al 31/12/2024 e quella tecnica al 31/12/2025 con le nuove date del 30/09/2027 e 31/03/2028. Visti i risultati della prime e più modeste proroghe (che è doveroso rimarcare dichiarate entrambe non in linea con l’ordinamento eurounitario e oggetto di disapplicazione da parte degli organi giurisdizionali) non sembra difficile preconizzare il fallimento di questa seconde e più ampie proroghe. Di fatto vengono per l’ennesima volta riesumati sia il diritto di insistenza che i rinnovi automatici a favore dei concessionari uscenti, istituti aboliti nel 2009 e nel 2011.
Indennizzi
Al momento della sottoscrizione delle attuali concessioni (per licenza o atto formale) o al momento del sub-ingresso il concessionario ha rinunciato formalmente a qualsivoglia indennizzo obbligandosi a fine concessione a rimuovere le opere di facile rimozione collocate sull’arenile mentre per quelle di non facile rimozione è l’art. 49 del codice della navigazione che disciplina la materia con l’incameramento a favore dello stato senza previsioni di indennizzi. La giurisprudenza amministrativa ha già più volte indicato come “affidamento legittimo” solo quello riposto dal concessionario ante 2010,
anno di recepimento della Direttiva Bolkestein nel nostro ordinamento con eventuali valutazioni da disporsi caso per caso di ammortamenti compiuti sui beni investiti, pezze giustificative alla mano.
Nel caso di valutazione positiva l’unico diritto del concessionario è quello della singola proroga, legittima sino al compiuto ammortamento.
Es. Il Comune di Rimini è nelle more di approvazione di un piano spiaggia (adottato a giugno) il quale prescrive l’obbligo per i concessionari uscenti di ripristinare la zona, la spiaggia, libera da tutto quello che c’è sopra e per l’attuazione del quale si confronteranno i nuovi progetti con previsioni edilizie totalmente innovative e diverse da quelle precedenti da attuarsi su una spiaggia “vuota”. A maggior ragione, in casi come questi, potete ben capire che l’indennizzo non c’entra nulla perché non c’è nulla da indennizzare.
E se un ente locale decidesse, come gli è consentito con piena discrezionalità, di lasciare zone attualmente in modalità concessoria, alla libera e gratuita fruizione della collettività, a quale titolo e perché dovrebbero essere indennizzati i concessionari uscenti e da chi? Potrebbe addirittura concretarsi una conflittualità tra chi sì e chi no….
BENE COMUNE (Il testo tra virgolette dall’articolo di Alessandro Coppola “La vera questione non è aste sì aste no, è lo statuto collettivo degli arenili“)
Come Mare Libero APS riteniamo fondamentale “riportare al centro della discussione alcuni aspetti strutturali della questione che rendono il caso italiano del tutto eccezionale. Unico in Europa, lo Stato italiano ha deciso, decenni or sono, che l’arenile è in gran parte un bene di mercato, e non un bene collettivo. Da questa scelta discende la circostanza, altrettanto unica in Europa, che vede in percentuali non più sostenibili gli arenili essere oggi accessibili a pagamento. Come noto, il livello di privatizzazione di fatto delle spiagge varia considerevolmente nel territorio ed appare particolarmente intenso proprio dove le dimensioni della domanda sociale sono tali da renderlo un bene relativamente scarso. I litorali di Liguria, Romagna e Veneto – quelli più immediatamente accessibili da un’area abitata da milioni di persone – sono privatizzati in misura massiccia. Riporto ancora a titolo di esempio Rimini, che ha oltre il 90% del litorale a pagamento, mentre in diverse città liguri lo è sostanzialmente al 100%. In questi casi, il regime concessorio ha trasformato un bene collettivo in un bene di mercato orientato ad una domanda solvibile, di fatto producendo scarsità e razionandone così l’uso.
Il modello attuale di gestione degli arenili ha infatti permesso di convertire una questione che ha a che fare con la regolazione dei beni collettivi in una questione che ha a che fare con la posizione soggettiva di alcune migliaia di imprese, da una parte, e i meri interessi fiscali dello Stato dall’altra.
A dominare la discussione è l’alternativa fra rinnovo delle concessioni e loro messa all’asta, le dimensioni del rimborso degli investimenti effettuati, il livello dei canoni da riconoscere allo stato. Questione centrale e propedeutica è invece come e quanto il bene collettivo dell’arenile oggi risponde alla domanda sociale.
L’ambiente e il paesaggio sono beni collettivi decisivi per la salute delle persone. L’accesso gratuito a tali beni riduce le diseguaglianze e fa parte del capitale vitale degli individui: una persona a basso reddito che possa soddisfare il proprio bisogno di ricreazione accedendo a una spiaggia – come a un parco o un sentiero di montagna (che, non casualmente, non sono a pagamento) – ha una vita migliore di una persona nelle medesime condizioni sociali di chi non gode di quell’accesso. La natura giuridica pubblica di questi beni suggerisce congenitamente il loro fine, oltre a quello dell’interesse ecologico.”
Gli orientamenti giurisprudenziali hanno in più occasioni rimarcato che la necessaria e incomprimibile destinazione dei beni pubblici del demanio costiero alla libera fruizione da parte della comunità e dei singoli trova fondamento nel combinato disposto degli articoli 2 e 42 della Costituzione e che il loro godimento “è funzionale a consentire il compiuto sviluppo della persona umana”.
“Da questo punto di vista, un primo obiettivo dovrebbe essere senza dubbio la riduzione progressiva della quota di arenile in concessione nelle regioni dove la domanda sociale è elevatissima e dove l’arenile gratuito disponibile è oggi paradossalmente scarsissimo“. È necessario che a livello nazionale e già la legge di conversione può essere l’occasione, venga prevista la quota minima a livello comunale del 50% di spiagge balneabili alla libera e gratuita fruizione, con possibilità poi per gli enti territoriali di aumentare tale quota a seconda delle condizioni socio-economiche del comune di
riferimento. Sappiamo che in alcuni casi si tratterebbe solo di applicare norme già in vigore, ma visto che molti comuni non rispettano le soglie minime di arenili accessibili contenute nelle leggi regionali è necessaria una norma impositiva statale (ricordo che il precedente art. 4 delle Legge Draghi, sostituito interamente dal nuovo art. 4 previsto nel D.L, richiedeva “l’adeguato equilibrio tra le spiagge in concessione e quelle libere e libere attrezzate” oltre a rimarcare “l’ obbligo per i concessionari di garantire l’accesso libero e gratuito alla battigia”. Di tale norme a tutela della collettività non c’è più traccia.
Tariffe di accesso e canoni.
“Un secondo obiettivo dovrebbe essere la ridefinizione dei contenuti delle concessioni. La regolazione pubblica del livello delle tariffe di accesso appare oggi completamente assente dalla discussione pubblica che, come si diceva, riguarda esclusivamente l’entità degli oneri delle concessioni. Trattandosi di un bene pubblico in concessione, è del tutto legittimo prevedere dei prezzi regolati e anche delle misure di accesso gratuito per determinati gruppi sociali, proprio come accade per altri beni pubblici in concessione, quali ad esempio i centri sportivi non gestiti direttamente dai comuni.
L’idea che un bene pubblico possa naturalmente evolvere verso tariffe sostenibili solo dai ceti superiori, come ovvio, è del tutto impropria. Non solo perché a queste tariffe dovrebbero corrispondere oneri infinitamente più elevati di quelli delle concessioni di oggi, ma perché la natura pubblica di quel bene impone prima di tutto la garanzia della sua accessibilità“.
Dal momento che con la modalità concessoria si sottrae al pubblico utilizzo un bene di tutti il valore del canone dovrebbe rappresentare sia il ristoro di questo mancato utilizzo che l’avvicinamento per questioni di leale concorrenza all’ incidenza che il costo per l’affitto ha per una impresa turistica “privata” (intesa come “diversamente demaniale”) e quindi non il 3% sul fatturato (come è adesso per i canoni attuali) ma minimo il 30% in modo da avvicinarlo maggiormente al valore di mercato. Inoltre la corresponsione della maggior parte di esso dovrebbe essere ad appannaggio degli enti locali “concedenti” che così avrebbero la possibilità di erogare servizi per le spiagge libere. Nessun accenno su questa devoluzione degli introiti da parte del D.L.
Ultima considerazione
Perché solo per le concessioni demaniali “lacuali e fluviali” si prevede la determinazione del canone in base al pregio naturale e della effettività redditività e non anche per le concessioni demaniali marittime?