Si sente spesso magnificare da numerosi sindaci dei comuni costieri, soprattutto in questi giorni vista l’imminente scadenza delle concessioni demaniali a scopo turistico ricreativo al 31 dicembre p.v., l’avvenuto espletamento di pubbliche evidenze, che, a dir loro, li terrebbe al riparo da qualsivoglia censura di inottemperanza alle norme costituzionali e unionali che come sappiamo impongono le procedure comparative ad evidenza pubblica nel rispetto dei principi di parità di trattamento, imparzialità e trasparenza per il rilascio di dette concessioni.
Il ritornello è sempre lo stesso: “noi siamo a posto perché abbiamo rilasciato per atto formale tramite una procedura di pubblica evidenza le concessioni per quindici e/o vent’anni in modo conforme al codice della navigazione (art. 18 Reg. Att. Cod. Nav. )[che prevede la pubblicazione della domanda del richiedente la concessione nell’ albo pretorio comunale] e/o all’ art. 03, comma 4 bis, d.l. 400-93, convertito con la L. 494-93” [modifica introdotta dalla Legge Finanziaria Prodi del 2007, che prevede la possibilità di rilasciare concessioni con una durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei Piani di Utilizzazione delle aree del Demanio marittimo predisposti dalle Regioni].
Il Consiglio di Stato con tre recentissime sentenze è come se avesse marcato stretto quei sindaci alzando loro in diretta il cartellino rosso ricordandogli che esiste una sostanziale differenza tra quello che si dice in funzione del populismo smisurato sempre a caccia del consenso elettorale e quello che invece rimarca l’ordinamento giuridico nel rispetto dei principi costituzionali ed eurounitari che impongono le fondamentali regole di equilibrio e tutela dei diritti concorrenziali in materia di rilascio di concessioni demaniali.
Vediamole: con le sentenze n. 9493 e 10378 del 3 e 30 novembre 2023, la settima sezione del Consiglio di Stato ricorda a quei sindaci smemorati che, ammesso che si possa ritenere conforme per sé stesso ai principi unionali (vengono infatti sollevati dubbi in ordine all’ arco temporale dei 20 anni ritenuto elevato) l’ art. 03, comma 4 bis della legge 494 del 1993 introdotto con la finanziaria Prodi del 2007, esso si applicherebbe comunque solo alle nuove concessioni (Sentenza 10378) previa procedura di pubblica evidenza indetta dalla P.A. dove tutti sono chiamati a partecipare sulla base di regole predeterminate. Quindi, con buona pace di quei comuni che si sono avvalsi di tale norma per concedere la possibilità ai concessionari uscenti di prolungare il rapporto sulla base di investimenti già effettuati e non ammortizzati o addirittura in previsione di essi e in aggiunta a quelli effettuati, tali prolungamenti, anche se sotto le mentite spoglie dei cosiddetti “atti formali”, sono da considerare totalmente illegittimi, anzi per la precisione tamquam non esset .
Questo perché applicativi di una norma che invece avrebbe dovuto essere disapplicata dal funzionario comunale in quanto a tutti gli effetti essa “costruisce un effetto giuridico di vera e propria proroga legale non consentita” (Sentenza n. 9493) e per ciò solo tali atti saranno di facile impugnazione per tutti coloro che, ritenendosi ingiustamente esclusi da gare mai effettuate (perché come vedremo a breve i “rendo noto” non vengono considerati come procedure comparative), riterranno di portarli alla cognizione del Tar di competenza.
E veniamo a ai famigerati “Rendo Noto”, previsti dall’ art. 18 Reg. Att. Cod. Nav., ritenuti dagli enti locali concedenti la panacea per tutti i mali.
La recentissima sentenza dei giudici di Palazzo Spada n. 10455 del 4 Dicembre 2023, sempre settima sezione, rigettando l’appello dei ricorrenti e confermando la correttezza del Tar Lecce, I, n. 596-2022, afferma categoricamente che <<non può pertanto ritenersi che ogni esigenza concorrenziale dovrebbe intendersi soddisfatta per effetto della pubblicazione delle previsioni recate dal “Rende Noto” >>. Infatti, come sancito dal giudice di primo grado il cui ragionamento giuridico è stato avallato dal collegio di seconda istanza, “le sovraordinate norme di legge in materia, ovvero il Codice della Navigazione, le direttive comunitarie e le leggi statali e regionali….omissis .. non consentono il rilascio diretto al richiedente della concessione demaniale marittima, che deve necessariamente avvenire all’esito di selezione del beneficiario effettuata attraverso procedura a evidenza pubblica, con pubblicazione di un bando che deve in ogni caso specificare le modalità di presentazione della domanda, i termini, i requisiti minimi, le cause di esclusione, i parametri di selezione delle offerte e la composizione della Commissione giudicatrice”.
In buona sostanza la fase prevista dal Regolamento di Attuazione del Codice della Navigazione può servire certamente per “preludere all’ espletamento della procedura comparativa ma non può sostituirsi ad essa”. La Pubblica Amministrazione non può <<sostenere di aver già avviato una procedura concorsuale in forza del rende noto del 7.3.2022, dal momento che l’avviso in questione non era volto a sollecitare un momento concorrenziale, ma soltanto a comunicare che “Chiunque può visionare la pratica … e ricorrere contro il rilascio … entro 15 giorni dalla data di pubblicazione del presente avviso”>> (altro Tar, Lecce, I, n. 356 del 16.03.2023).
Questo è vuol dire che sono totalmente a rischio tutte le concessioni rilasciate solo ed esclusivamente sulla base dei “Rendo Noto” ex art. 18 Reg. Att. Cod. Nav. senza una successiva pubblica selezione improntata ai criteri di trasparenza e pubblicità a cui si accennava sopra.
Non solo: ma a rischio è sicuramente anche il comportamento del funzionario pubblico che ha avallato tale procedura magari fissando la scadenza di dette concessioni al 31.12.2033 ai sensi della L. 145-2018, all’ epoca vigente ed ora abrogata, non curandosi invece di disapplicarla come invece sarebbe stato un suo preciso dovere ai sensi dei principi giuridici imposti dal diritto unionale.