Circola in queste ore quella che sembrerebbe essere la versione definitiva del testo, da inserire all’interno del decreto concorrenza, per conferire al Governo (con cui ci sarebbe già un accordo) la delega al riordino delle concessioni balneari.
Ecco le novità più preoccupanti.
- I CONCESSIONARI USCENTI SARANNO MOLTO AVVANTAGGIATI NELLE GARE PER L’ASSEGNAZIONE DELLE CONCESSIONI
Ciò avverrà grazie ad una serie di disposizioni:
- nella scelta del concessionario dovrà essere valorizzata e adeguatamente considerata “l’esperienza tecnica e professionale già acquisita in relazione all’attività oggetto di concessione”; nella stesura precedente era previsto che la valorizzazione fosse relativa anche all’esperienza maturata in “analoghe attività di gestione di beni pubblici”, ma nella versione definitiva questa previsione sembra essere stata rimossa;
- andrà inoltre tenuta in considerazione “della posizione dei soggetti che, nei cinque anni antecedenti l’avvio della procedura selettiva, hanno utilizzato la concessione quale prevalente fonte di reddito per sé e per il proprio nucleo familiare”;
- le gare poi dovranno essere predisposte garantendo “adeguata considerazione in sede di affidamento della concessione, dell’utilizzo del bene pubblico da parte di società o associazioni sportive”;
Se si considera che a gestire le spiagge in concessione, e quindi ad aver acquisito l’esperienza necessaria secondo il legislatore, sono state sempre le stesse società, che hanno usufruito di rinnovi e proroghe ininterrotte in alcuni casi anche per più di un secolo, risulta evidente come non possa che essere considerata una beffa la previsione successiva, per cui la valorizzazione delle esperienze acquisite dovrà essere determinata “in maniera tale da non precludere l’accesso al settore di nuovi operatori”: di fatto tale accesso è precluso.
- SARA’ PREVISTO UN INDENNIZZO PER I CONCESSIONARI USCENTI A CARICO DEI NUOVI ASSEGNATARI
In altre parole, chi vincerà la gara e otterrà la concessione, dovrà indennizzare il precedente concessionario. Nelle precedenti stesure era specificato che tale indennizzo dovesse essere determinato “in ragione del mancato ammortamento degli investimenti realizzati nel corso del rapporto concessorio” e “della perdita dell’avviamento connesso ad attività commerciali o di interesse turistico”. Il motivo di questo taglio è da imputarsi al fatto che il Consiglio di Stato, nelle ormai già storiche sentenze del 9 Novembre scorso, ha chiarito espressamente, richiamando per altro quanto già delineato dalla Corte di Giustizia Europea, che l’indennizzo può essere riconosciuto al concessionario uscente solo se sia in grado di dimostrare che, al momento di effettuare gli investimenti oggetto di indennizzo, potesse “legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione”. Inutile dire che, essendo già stati dichiarati illegittimi tutti i rinnovi successivi al 2010 (data di recepimento della Direttiva Bolkestein in italia), nessun investimento effettuato negli ultimi 12 anni può considerarsi oggetto di indennizzo; allo stesso modo, difficilmente sarebbe dimostrabile che ancora non sia stato ammortizzato un investimento effettuato prima del 2010. D’altro canto se un qualsiasi indennizzo fosse invece previsto a carico del concessionario uscente, è chiaro che esso dovrebbe sostenere un costo di avviamento della propria attività ben superiore rispetto a quello che sosterrebbe il vecchio concessionario in caso di vittoria della gara: ciò costituirebbe, dunque, ulteriore barriera in ingresso per nuovi operatori. Un’ulteriore osservazione è necessaria: il Codice della Navigazione (art.49) già stabilisce espressamente che, quando cessi la concessione, “le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione”. È quindi lecito chiedersi: la previsione di un indennizzo è ancora presente nel testo per quietare i timori dei concessionari? Per scoraggiare nuovi soggetti potenzialmente interessati a prendere in gestione una concessione? E quale sarebbe il criterio per determinare questi indennizzi? Attendiamo, forse invano, risposte.
- SARANNO ULTERIORMENTE PROROGATE (ALCUNE?) CONCESSIONI FINO AL 2024
Come se non fosse già sufficiente che, con le ripetute proroghe, il nostro ordinamento agisca in esplicita violazione del diritto europeo ininterrottamente dal 2010, e nonostante il Consiglio di Stato abbia chiarito in Adunanza Plenaria che le proroghe non saranno più tollerabili oltre il 31 Dicembre 2023, sarà concesso ai Comuni, “con atto motivato”, di “differire il termine di scadenza delle concessioni in essere per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2024”, nel caso in cui sussistano “ragioni oggettive che impediscono la conclusione della procedura selettiva entro il 31 dicembre 2023, connesse, a titolo esemplificativo, alla pendenza di un contenzioso o a difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura”. In altre parole, sarà sufficiente al concessionario fare un ricorso contro la procedura ad evidenza pubblica per ottenere un ulteriore anno bonus. Per quanto riguarda le difficoltà oggettive legate all’espletamento della procedura, è legittimo domandarsi come dopo tutti questi anni, dopo tutte le sentenze, i Comuni non abbiano ancora compreso l’inevitabilità dei bandi e come, quindi, non si siano ancora attrezzati.
- È STATA INSERITA UNA DEROGA GENERALE AL CODICE DELLA NAVIGAZIONE
Con questa legge-delega, verrà dato mandato al Governo di predisporre un decreto che rispetti i principi indicati dando ad esso la facoltà di farlo “anche in deroga al codice della navigazione”. Questa disposizione assume una gravità di proporzioni difficilmente immaginabili, in quanto si dà, di fatto, al Governo, il potere di interpretare le linee-guida (comunque molto generiche) fornite dal parlamento, anche in aperto contrasto con altre leggi pienamente vigenti e che in molti casi (come quello particolare del codice della navigazione) sono stati il vero argine all’ulteriore dilagare dello strapotere balneare. Il fatto che si inserisca una disposizione così generale, è sicuramente indice di qualche preciso intento che si vorrà perseguire in aperto contrasto con le leggi dello Stato.
- VIENE ESCLUSA LA PARTECIPAZIONE ALLE GARE DI ENTI DEL TERZO SETTORE
Nella proposta originaria del governo, per la definizione della disciplina delle gare, era indicato che essa avvenisse favorendo “la massima partecipazione di imprese, anche di piccole dimensioni, e di enti del terzo settore”. Nell’ultima versione, che sembrerebbe essere quella definitiva, gli enti del terzo settore risultano esclusi dal breve elenco appena riportato. La possibilità di ottenere concessioni da parte di associazioni di volontariato, è al contrario fondamentale per la promozione di un uso sociale delle spiagge, slegato dall’ottica del mero profitto, che sembra ormai essere l’unica cui sia possibile riferirsi.
Ancora una volta, trasversalmente, la Politica, con scarsissime eccezioni, decide di agire a tutela unica dell’imprenditoria balneare, senza neanche prendere in considerazione le istanze dei bagnanti, e neppure le pressanti segnalazioni del mondo scientifico e accademico, che evidenziano la stretta connessione tra lo sfruttamento intensivo delle coste e i processi erosivi che le stanno gradualmente distruggendo. Le indicazioni sono molto chiare: se non vogliamo che tra poche decine di anni venga a mancare del tutto la materia del contendere, vale a dire le spiagge stesse, è necessario procedere speditamente verso un graduale ma perentorio processo di rinaturalizzazione delle coste. Per noi amanti del mare sarà l’occasione di riscoprire l’ambiente naturale, che poi è anche quello che andiamo a ricercare in posti esotici e lontani da noi, cui le nostre meravigliose spiagge non avrebbero nulla da invidiare, se solo fossero trattate con maggior rispetto.
- NON È PREVISTO ALCUN COINVOLGIMENTO DELLE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE E DI TUTELA DEI BAGNANTI NELLA STESURA DEL DECRETO
Frequently Asked Questions
Se le gare fossero realmente aperte, trasparenti e imparziali, non correremmo il rischio che qualche multinazionale straniera investa massicciamente sulle nostre spiagge sottraendo reddito al nostro Paese?
Questo dipende dal modello di gestione che abbiamo in mente per le nostre spiagge. Finché avremo in mente di poter sfruttare le aree demaniali per edificare resort, spa, piscine, centri benessere, negozi, o qualsiasi altro tipo di costruzione che implichi ingenti investimenti (e quindi garantisca lauti profitti), è del tutto evidente che molti importanti investitori sarebbero attratti, mentre sarebbe penalizzata qualsiasi piccola impresa locale a gestione familiare. D’altro canto, se il modello è quello ad alta densità edilizia, il rischio che alla gestione familiare si sostituiscano soggetti imprenditoriali molto più massicci, non solo non è affatto ridotto, ma è lasciato alla libera autonomia del mercato, e quindi sottratto a qualsiasi controllo pubblico. A riprova di questo, è recentissima la notizia, tra le altre, dell’acquisto da parte di Vitaly Bezrodnykh, ricco magnate russo con interessi nell’alta tecnologia, dell’importante bagno Principino di Viareggio, il quale ha dichiarato di voler effettuare cospicui investimenti sul turismo balneare in Versilia. Il tutto è stato regolato con un semplice accordo tra privati: il problema da affrontare è il modello di balneazione.
La Direttiva Bolkestein è la soluzione a tutti i mali delle spiagge italiane?
No. La Direttiva Bolkestein è utile perché demolisce la concezione, tutta italiana, per cui i lidi, i bagni, gli stabilimenti, siano, di fatto, una proprietà privata, una rendita di posizione ad esclusivo appannaggio di pochi privilegiati che la tramandano di generazione in generazione. Sapere che la spiaggia, che fino ad oggi abbiamo considerato di qualcuno, a periodi regolari sia soggetta ad una gara per l’assegnazione, è utile a rimarcare la natura pubblica di una delle risorse più preziose per il nostro Paese. In ogni caso, né la Direttiva Bolkestein né qualsiasi altra legge impongono che le spiagge siano necessariamente date in concessione a privati: esse si limitano a stabilire che, solo nel caso in cui il Comune decida di assegnare una spiaggia in gestione ad un privato, ciò debba avvenire con una gara aperta. Il nostro auspicio è che si diffonda sempre di più la cultura della riappropriazione da parte delle amministrazioni comunali della gestione diretta, pubblica, delle nostre spiagge, nell’interesse di tutti e tutte.
Per quale motivo è così preoccupante che siano i vecchi concessionari a mantenere la concessione?
Gestire una concessione significa, a tutti gli effetti, controllare un confine di Stato, nonché un bene dal valore unico e inestimabile. Questo privilegio si trasforma di fatto in un vero e proprio potere su un territorio, sul suo tessuto economico, lavorativo, turistico e anche politico. Di fatti, le associazioni organizzate dei balneari, spesso, nelle località di mare esercitano questo potere, diventando spesso determinanti e condizionanti, non solo per quanto riguarda la gestione stessa del demanio marittimo, ma anche di tutto l’indotto turistico, economico e culturale. Ciò avviene in quanto le proroghe delle concessioni sono stabilite per legge e sono quindi sottratte alla disponibilità della scelta amministrativa dei singoli comuni, che quindi di fatto subiscono un potere contrattuale potenzialmente illimitato in capo ai concessionari, che le amministrazioni non hanno i mezzi (né quasi mai la volontà) per contrastare. Per questo motivo è importantissimo che si demolisca la concessione di rendita perpetua fin qui legata alle concessioni balneari, per restituire al Pubblico le facoltà di incidere veramente sull’utilizzo del Demanio marittimo.